Descrizione

Anche se la Lomellina non ha mai avuto una propria scuola, non si può certo dire che siano mancati nella nostra terra artisti degni di essere ricordati. Nel medioevo la Lomellina fu culla di numerosi pittori, tra i quali Giovanolo da Mede, Antonio da Breme e Tomasino da Mortara, ma anche e soprattutto nella storia recente ci sono nomi illustri. Tra questi, due sono pittori mezzanesi: Carlo Socrate e Ferdinando Bialetti.
Nelle prossime pagine cercheremo di presentare i nostri celebri artisti ed alcuni altri personaggi che hanno saputo lasciare un segno indelebile nella storia di Mezzana Bigli. Non abbiamo certo pretese di completezza, per questo fin d’ora ci scusiamo con il lettore che pensi siano stati tralasciati volti fondamentali del nostro paese.
Desideriamo anzi rivolgere un chiaro invito a chiunque ritenga che la nostra comunità debba un particolare riconoscimento a questo o a quel personaggio: perché non ritrovarci e discutere sul modo di rendere a queste persone il giusto tributo? Le porte della Pro Loco sono sempre aperte.



Ferdinando Bialetti

Nacque a Mede il 17 Luglio 1864. Ebbe 14 tra sorelle e fratelli, tra i quali va ricordato lo scultore Felice. La carriera artistica di Ferdinando Bialetti iniziò con lo studio all’Accademia Albertina di Torino. Da quella scuola uscirono nomi illustri dell’arte italiana, tra i quali il celebre architetto Antonelli, autore delle moli di Torino e Novara.
Nella sua attività di pittore, Bialetti si è espresso nei più svariati soggetti e tecniche, ottenendo con ognuna di esse risultati invidiabili, ma è riproducendo la campagna lomellina e ritraendo i volti dei contadini della sua terra che Bialetti si guadagnò la stima dei suoi numerosi amici ed ammiratori. Da non dimenticare sono poi i mirabili affreschi che si possono ammirare in numerose chiese e palazzi, sia nella nostra Lomellina, sia a Genova, Torino e Vicenza.
Trascorse la sua vita tra Torino, Loano, la Lomellina e Pavia. A Mezzana Bigli, paese della moglie, Bialetti passò tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale, dipingendo con grande amore la Lomellina e le campagne disseminate di risaie, marcite e filari di pioppi. Morì a Pavia il 20 Dicembre del 1958.


Carlo Socrate

Nacque a Mezzana nel 1889 da Bonaventura Socrate e Rosa Vespesiani. I due si conobbero a Mezzana, mentre Bonaventura, che era un attore drammatico ambulante, stava dipingendo i pannelli per una rappresentazione in piazzetta. Si sposarono il 2 Gennaio 1887. Carlo lasciò subito l’Italia per vivere fino all’età di nove anni in Argentina. I suoi genitori appoggiarono sempre la sua propensione all’arte così, una volta tornato in Italia, Socrate poté dedicarsi alla pittura e studiare all’Accademia di Roma.
Nel 1917 lavorò nella compagnia dei Balli Russi di Diaghilev, collaborando alla realizzazione delle scenografie. In quegli anni Socrate conobbe Picasso e lo seguì a Parigi, Barcellona e Madrid.
Nelle sue opere più famose si intrecciano gli stili di Manet, Tiziano e Caravaggio, dando vita ad un’arte magica ed eterna, non essendo legata ad un particolare periodo storico. Da ricordare sono la “Natura morta col piatto di mele e le cipolle”, “Pesci”, “Bagnanti”, “Venere Dormiente”, “Torso femminile” e “Portatrice di frutta”.
Tra le due guerre Carlo Socrate lavorò intensamente partecipando a numerose mostre pubbliche.
Oltre che produrre, l’artista seppe distinguersi anche come valente critico d’arte per il “Corriere Padano”. Si spense nel 1967 a Roma, città dove si può tutt’ora ammirare una mostra stabile a lui dedicata.


Carlo Mirabelli

Dalle parole commosse del fratello Dante, abbiamo potuto tracciare il ritratto di un nostro compaesano degno del più profondo rispetto per le doti artistiche ed umane che ha sempre dimostrato: Carlo Mirabelli.
Nato a Messora l’8 Gennaio 1915 e trasferitosi presto a Mezzana, frequentò la scuola fino alla VI classe. Avrebbe voluto proseguire gli studi ed anche il padre lo incoraggiava in questo senso, vedendo la sua passione e le sue doti artistiche. Il nonno, però, che avrebbe potuto sostenere materialmente gli studi, voleva che il giovane nipote seguisse la carriera ecclesiastica, che ben più sicura e stabile doveva apparire ai suoi occhi rispetto all’incerto mestiere del pittore! Carlo fu quindi per necessità un autodidatta ed autonomamente continuò a seguire il proprio talento.
Intorno agli anni ’40, in pieno periodo bellico, ebbe modo di approfondire la conoscenza di un maestro nell’arte della pittura: Ferdinando Bialetti. Da lui apprese i segreti e le tecniche pittoriche che avrebbero marcato tutto il suo percorso artistico. Bialetti, riconoscendo le qualità del giovane allievo, lo sosteneva e lo invitava a prendere il cavalletto e a riprodurre i suoi quadri; con grande umiltà ricorda il fratello Dante, Carlo si metteva al lavoro, riuscendo con ottimi risultati nella riproduzione dell’opera.
Dimostrando grande sensibilità nell’uso del colore, di Carlo Mirabelli ricordiamo soprattutto i mirabili paesaggi naturali, di cui sapeva cogliere ed evidenziare le molteplici variazioni atmosferiche e luminose. Egli stesso prediligeva il tema paesaggistico, asserendo di non “sentirsi ancora all’altezza per eseguire ritratti”: con profonda umiltà preferiva attendere l’attimo in cui l’ispirazione l’avrebbe orientato verso questo nuovo soggetto, anche se il fratello Dante è convinto pienamente che avrebbe affrontato con successo anche questa tematica.
Uomo dotato di grande talento, ma anche di vera umanità, di “indole buona e generosa”, come ci ha detto con orgoglio Dante.

Al termine di questo breve viaggio tra i pittori che a loro modo, in maniera più o meno forte, hanno lasciato una traccia nel nostro paese, vogliamo ricordare la figura di un uomo semplice, la cui pittura non ha mai ostentato nulla di accademico o di ricercato, anzi si è sempre rivelata semplice, spontanea, a volte quasi infantile. Ma in quelle pennellate ci sono tutti i colori dell’anima: è la pittura di Adriano “Nano” Scagliosi.



Luigi Secondi

La vita del maestro Secondi è stata indissolubilmente legata alla gloriosa Banda Musicale. Luigi ha assunto l’incarico di direttore della banda dopo l’abbandono di Giovanni Grossi e, con scelte coraggiose e non sempre condivise dai suoi musicanti, ha saputo dare alla “San Giovanni” un periodo di grande notorietà, durante il quale la banda si è distinta nelle province di Pavia e di Alessandria.
Di professione Luigi Secondi era elettricista, ma è indubbio che tutte le sue energie fossero indirizzate verso la direzione della banda e la gestione della Scuola di Musica, da lui stesso istituita con l’aiuto di don Luigi Moglia.
Chi scrive ha passato tutta la sua adolescenza con un appuntamento fisso, quello del mercoledì e del sabato, quando Luigi aspettava gli allievi nella sala di musica per la lezione. Ricordo benissimo la sua figura appoggiata alla vetrina delle targhe, testimonianza indelebile dei numerosi interventi della banda a feste, sagre o ricorrenze ufficiali. Da quella posizione Luigi scandiva il tempo mentre noi si sudava di fronte ad un’impegnativa pagina da solfeggiare o da suonare, ognuno con il proprio strumento. Luigi era un uomo di poche parole, anche alle lezioni, ma erano sufficienti i suoi gesti o i suoi sguardi per capire dove si sbagliava e dove ci si doveva esercitare con maggior impegno.
Di poche parole lo è stato anche quando, nella sua ultima festa di Santa Cecilia, ha percorso la navata centrale della chiesa con passo affaticato e gli occhi lucidi per l’emozione per ritirare dalle mani di don Pasqualino Negri la piccola targa con la quale abbiamo voluto ringraziarlo per i tanti anni completamente dedicati alla banda. In quel momento l’ho rivisto con il solito camice nero, nella solita posizione, intento a tenere il tempo per l’ultima volta ed ho capito che non potrò mai ringraziarlo abbastanza per quello che mi ha insegnato.


Don Giuseppe Massone

Si tratta senza dubbio del personaggio che, per la sua schiettezza ed il suo carisma, più è rimasto nel cuore dei mezzanesi che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e conoscerlo. Anche per chi è nato e cresciuto dopo la sua partenza, “l’Arciprèt” è ancora una figura di riferimento insostituibile, portato ad esempio mille volte da nonni e genitori.
Della classe 1881, don Massone nacque sulle colline di Casteggio, nella Frazione Sbarbina; venne ordinato sacerdote da Mons. Igino Bandi nel 1906. Svolse il ministero sacerdotale come curato a Casteggio, Castagnata e Crocefieschi. Fu Vice-Rettore del Seminario Diocesano di Tortona e fu parroco di Mezzana Bigli dal 1912 fino alla sua morte, nel Gennaio del 1969. Durante gli anni cinquanta, però, sembrava che dovesse lasciare Mezzana per trasferirsi a Mondondone, ma, in seguito alle accese proteste della popolazione, il Vescovo di allora dovette rinunciare all’idea di trasferirlo.
Don Giuseppe dedicò sempre molta attenzione ai problemi giovanili. Proprio per i ragazzi mezzanesi egli svolse un’intensa attività oratoriale, per le ragazze del paese perorò la causa della “Pia Unione delle Figlie di Maria” e, per i bambini, molto si prodigò nell’assistere le Suore Benedettine che gestivano l’Asilo Infantile.
A lui si deve inoltre la fondazione della Banda Musicale “San Giovanni”, nella quale seppe vedere un valido strumento di aggregazione prima ancora che un’espressione artistica.
A don Massone è dedicata la piccola piazza confinante con il Sagrato della Chiesa.
In occasione del suo funerale, il compianto don Rino Dossena, allora parroco di Casoni Borroni, amico ed estimatore, così lo ricordò:
“S’era sparsa la voce, fra la gente, ch’egli non dovesse più morire: “[…] ma Gesù non gli aveva detto: Non morirai, bensì: Aspettami che io ritornerò […]” Davanti a questa salma le parole del Vangelo hanno una loro attualità forse un po’ audace, ma non meno autentica e vera.
Aspettami che ritornerò: Dopo 87 anni di attesa in un mattino freddissimo di questo inverno prima che fosse l’alba, la promessa si è avverata, l’appuntamento si è concluso. Vi confesso senza paura che lo ho amato e stimato il Vostro Arciprete più di qualunque altro prete: ma in questo momento io non ho bisogno di sentimenti personali per dir bene di lui. L’ho visto morire. Guardando la sua agonia, come un giorno quella di mio padre, sembrava un gigante che agonizzasse, eppure si è addormentato nelle braccia della morte, come un bambino nelle braccia della madre. C’è chi fa dono di se stesso col vivere, e c’è chi lo fa col morire. Quest’uomo per 56 anni, vi ha fatto dono di sé con la vita, così come ora, scegliendo di essere sepolto nella vostra terra, vi fa dono di sé con la morte. Voi ne avete conosciuto i difetti e le virtù. Dei suoi difetti (per tutti noi che strisciamo per terra, come lumache attraverso i giorni della nostra vita) dirò soltanto: che colui che inciampa senza cadere fa il passo più lungo. Delle sue virtù: voi ne siete testimoni. Se dovessi parlarne citerei senza esitare le parole che Gesù disse di San Giovanni Battista: “Chi siete andati a vedere? Una canna sbattuta dal vento? Un uomo ricercato ed amante dei propri comodi? Voi avete veduto un profeta e più che un profeta, un Angelo che annunzia il Signore”. La sera nella quale fu colto da malore improvviso, aveva chiesto l’elenco delle stalle da benedire, e i ragazzi, fino a tardi, avevano giocato sotto le sue finestre a palle di neve. Due modi di essere prete, due aspetti di un carattere, il cui segreto fu questo solo: un cuore grande come il mare. E fu per questo che dopo aver regalato tutto ai poveri, è morto con su la maglia rappezzata, e con di suo solo la terra che s’era presa al Camposanto. Se un uomo è chi affronta il dolore fisico e morale, non senza sentirlo, ma senza farsi veder soffrire: che quando ha detto una parola non se la rimangia dovesse cascare il mondo: possiamo ben dire che Egli fu un vero uomo. Ci fu la semplicità, l’umiltà e la fatica, molta, molta fatica, a colmare i suoi giorni: ci furono la solitudine, l’ingratitudine e l’incomprensione a purificare la sua missione: e soprattutto ci fu la sua vocazione e la mano di Dio a farlo così pienamente Uomo da poter attingere, sopra l’umano, la Divinità. E non mi stupisce allora d’aver visto uomini e donne piangere, singhiozzare, come non mi stupirono gli occhi sbarrati dei bambini ed i loro nomi scritti con mano incerta sul registro di casa: Mauro, Laura, Emma, Rosella, Silvia. La nostra consapevolezza di uomini e l’innocenza dei bambini hanno reso e rendono a questo povero prete il loro tributo di amore e di fedeltà. Questa Chiesa da oggi sarà più vuota, questo paese sarà più povero e noi da oggi saremo più soli. Il tempo dirà chiaramente a tutti il vero dono e le proporzioni della sua vita di Sacerdote in questo paese. Io penso al cimitero che l’accoglierà fra poche ore: bianco sotto la neve. Ha i trasalimenti della visione evangelica: “Che sarà del seme in terra se non morirà?” So che questa salma, come la nostra terra fremerà tutta nell’inquietudine di una nuova vita e s’aprirà nella dolorosa felicità di una rinnovata primavera: VITA MUTATUR, NON TOLLITUR…
E soprattutto io so, come dice sant’Agostino, che questo settimo giorno, questa fredda e tristissima Domenica di Gennaio, è giorno di pace, di infinita pace senza tramonto e resterà per noi, o buono, umile e caro nostro Arciprete un giorno senza sera”.


Bibliografia

Mezzana Bigli nella Storia, Pro Loco Mezzanese 2000-2019

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